osvaldo licini
“Da due anni sto acculando materiali, materiali. Fra poco sarò pronto per la mia ultima avventura, la vera, la decisiva”: così scrive Licini nel 1943 a Giuseppe Marchiori, che lo seguirà fedelmente sino alla fine, e dopo la morte. Questi anni – gli ultimi della guerra, e i primi d’un affaticato dopoguerra, che non riusciva a chiudersi – sono stati per Licini, che li vive appartato a Monte Vidon Corrado, un tempo circondato dal mistero: mistero che avvolge i suoi rapporti con il mondo e identicamente la sua pittura, che è adesso in procinto di rinnovarsi interamente. Non è facile scalare con puntualità, nei mesi e negli anni che seguono, il procedere verso il drastico rinnovamento (venuto al termine d’una “lunga e nascosta incubazione dei nuovi soggetti”, come ha ricordato di recente Mattia Patti) di cui egli cova le ragioni già nel ’41, e che ha certamente in parte avviato già nella primavera di quello stesso anno, quando confida a Alberto Sartoris d’aver “sott...