domon ken











Ken Domon

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Ken Domon
Ken Domon (土門 拳 Domon Ken?) (Sakata25 ottobre 1909 – Tokyo15 settembre 1990) è stato un fotografo e fotoreporter giapponese, tra i più famosi del XX secolo[1]. Domon è celebre soprattutto per i suoi reportage di fotogiornalismo, ma anche per aver documentato templi e statuaria buddista.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Nato a Sakata, nella prefettura di Yamagata,[2] in giovane età fu profondamente influenzato dagli scritti filosofici di Tetsuro Watsuij.[3] Iscrittosi alla facoltà di legge della Nihon University ne fu espulso a causa della sua partecipazione a movimenti politici radicali.[4] Domon decise perciò di dedicarsi alla pittura e alla fotografia, riuscendo ad entrare nello studio fotografico di Kotaro Miyauchi nel 1933.[4]
Nel 1935 passò a lavorare per la rivista Nippon, al fianco di Nippon Kobo. Quattro anni dopo si trasferì alla Kokusai Bunka Shinkokai, un'organizzazione nazionale di propaganda.[2] Come Ihei Kimura e altri famosi fotografi giapponesi decise di collaborare in appoggio allo sforzo bellico del Giappone nella seconda guerra mondiale.
Grazie all'esperienza acquisita sul campo, alla fine della guerra Domon divenne un fotografo indipendente e documentò le condizioni del dopoguerra giapponese concentrandosi sulla società e sulla vita quotidiana delle persone comuni.[3] In questo periodo diventò famoso come un esponente del realismo in fotografia che lui stesso definiva come "uno scatto assoluto che sia assolutamente non drammatico".[2]
Domon fu un fotografo prolifico, lavorando per numerose riviste fotografiche riaperte dopo la guerra o fondate durante gli anni cinquanta. Insieme a Kimura, Hiroshi Hamaya e altri colleghi, rifiutava la fotografia artistica e le foto posate, entrando spesso in polemica con le riviste per le quali lavorava nel tentativo di imporre il suo punto di vista sul realismo fotografico.
Le foto più conosciute di Domon sono state scattate nel secondo dopoguerra, particolarmente quelle dei sopravvissuti al bombardamento atomico di Hiroshima o quelle che documentano la vita dei bambini nella comunità di minatori di Chikuhō, Kyūshū. Nel 1958, Domon ricevette il Premio Mainichi di fotografia e il premio Fotografo dell'Anno dall'associazione dei critici fotografici del Giappone. Fu inoltre premiato dal Ministero dell'educazione giapponese nel 1959 e dall'associazione nazionale giornalisti nel 1960.[4]
Nel 1960 e poi ancora nel 1968, Domon fu colpito da ictus,[4] le cui conseguenze lo costrinsero sulla sedia a rotelle e gli resero impossibile impugnare normalmente la macchina fotografica. La malattia tuttavia non gli impedì di continuare nella sua opera di documentazione fotografica della cultura giapponese. Il fotografo viaggiò a lungo per tutto il paese fotografando i templi buddisti e producendo un'impressionante serie di bellissimi libri fotografici. Nel 1963, Domon cominciò a lavorare al progetto più importante della sua vita Koji junrei[2] (1963–1975) che comprendeva foto dei templi e della cultura giapponese a Nara e Kyoto.
Nel 1976, il fotografo fu colpito da un terzo ictus che lo rese completamente invalido, impedendogli di fare foto. Nel 1981 fu istituito a suo nome il Premio Domon Ken di fotografia, due anni dopo gli fu dedicato un museo aSakata. Domon morì a Tokyo il 15 settembre 1990.[2]

L’anteguerra: dal fotogiornalismo alla fotografia di propaganda
Domon esordì nel mondo della fotografia nel 1933, all’età di 24 anni, su consiglio della madre che lo
stimolava a seguire la propria vocazione. Cominciò come monsei, svolgendo le mansioni più umili di
allievo apprendista presso lo studio fotografico di Miyauchi Kōtarō a Ueno come Domon stesso
racconta1. Si affermò da subito aggiudicandosi premi, scrivendo rubriche su riviste e giornali
fotografici dell’epoca e pubblicando la sua prima foto su Asahi Camera nell’agosto del 1935. Il 10
ottobre dello stesso anno la svolta definitiva alla sua carriera avvenne rispondendo all’annuncio
pubblicato sulla stessa rivista di ricerca di un tecnico fotografo da parte dello studio Nippon Kōbō di
Ginza. Fondato da Natori Yōnosuke (1910-1962), rientrato dall’esperienza berlinese presso il Berliner
Illustrierte Zeitung, lo studio di fotografia, arti e mestieri diffuse in Giappone per la prima volta concetti
come quelli di “editing” e “reporting”, nonché un nuovo sistema di produzione basato sulla
collaborazione tra fotografo e graphic designer sotto la supervisione di un art director per una
diffusione su larga scala del giornalismo grafico che aprì le porte al fotogiornalismo. La rivista NIPPON,
scritta in lingua inglese allo scopo di promuovere la cultura giapponese all’estero, usava un linguaggio
misto tra informazione e propaganda, utilizzando uno staff che includeva fotogiornalisti come
Fujimoto Shihachi, designers del livello di Yamana Ayao, Kamekura Yūsaku, Kōno Takashi, ai quali si
aggregò Domon Ken il 5 novembre 1935. Il primo reportage fotografico riguardò il tradizionale festival
Shichi-Go-San in occasione della presentazione al santuario Meiji Jingu dei bambini e lo realizzò con la
sua Leica modello “C”2, ma a questo ne seguirono diversi altri che presentavano l’artigianato, le
tradizioni, l’avanzamento industriale, militare e il lato progressista del Giappone che negli anni Trenta
si muoveva in una direzione sempre più nazionalistica: il mancato colpo militare del 1936, la guerra
con la Cina, la guerra nel Pacifico segnarono una svolta significativa anche per il fotogiornalismo. Il
contesto storico sociale trasformò velocemente il linguaggio fotografico da mezzo pubblicitario a
mezzo ideologico propagandistico come è evidente nelle pagine di NIPPON, ma anche nei grandi
manifesti fotografici che vennero esposti all’ Expo di Parigi del 1937 e alla World Fair di New York e
San Francisco del 1939 e soprattutto nella rivista FRONT pubblicata a partire dal 1942 a imitazione
della russa USSR in Construction. Tuttavia, le due personalità forti e diverse di Natori e Domon presto
si scontrarono portando alla rottura definitiva tra i due: Natori ricco borghese, razionale e moderno,
Domon cresciuto nella povertà proletaria, conservatore, tenace e senza compromessi. L’antagonismo
professionale si rivelò prima nell’attribuzione delle fotografie pubblicate, poi più pesantemente nella
discrepante visione riguardo il ruolo della fotografia, considerata da Natori a servizio dei mass media,
mentre da Domon come espressione artistica.
Gli anni della guerra e il teatro di burattini bunraku
Durante gli anni di massima espansione nel Pacifico che sfociarono nella Seconda guerra mondiale,
anche la fotografia dovette sottostare alle regole della politica militare; pochissimi fotografi
professionisti potevano ottenere l’assegnazione di materiale fotografico per incarichi reputati
“essenziali”. Ed “essenziali” erano naturalmente i servizi fotografici subordinati alle esigenze
propagandistiche del governo, del Ministero degli Esteri, del Ufficio Nazionale del Turismo (Kokusai
1 DOMON Ken, Shinu koto to ikiru koto. Tsuzuki (Del morire e del vivere. Continuazione), Tsukiji shokan, 1995, (I
ed. 1974), p. 11.
2 E’ la prima Leica con obiettivo intercambiabile. I tipi di obiettivo disponibili erano tre: 35 mm., 50 mm., 135 mm.
Kankōkyoku), dell’Ufficio Nazionale per lo Sviluppo Culturale (Kokusai Bunka Shinkōkai). Molte
pubblicazioni fotografiche furono interrotte e le poche sopravvissute spesso integrate, con
ripercussioni a livello economico sui fotografi per i quali rappresentavano la base delle entrate.
Domon stesso parla nei suoi scritti delle difficoltà nel mantenere una famiglia di sette persone date le
ristrettezze provocate dalla guerra. A questo si aggiungeva anche l’ansia del probabile arrivo del
“cartellino rosso” che lo avrebbe richiamato alle armi e probabilmente al fronte come membro del
gruppo di fotogiornalisti. La sua risposta a questa situazione critica sotto ogni punto di vista, ideale ed
economico, fu quella di ritrarsi dalla scena pubblica per dedicarsi alla cultura e alla classicità, in
particolare ai templi buddhisti e al teatro di burattini Bunraku per continuare a fotografare
liberamente. Nel 1939 iniziò a recarsi al tempio Murōji dando avvio alla grande opera Kojijunrei, che lo
avrebbe condotto lungo i templi antichi del Giappone per tutta la vita, anche se durante gli anni della
guerra a stento riusciva ad ottenere i materiali necessari. L’8 dicembre 1941 si trovava invece nel
backstage del teatro bunraku di Yotsubashi a Osaka quando lesse l’edizione straordinaria che
annunciava la dichiarazione di guerra all’America. Quando esordì in quest’ambito Domon non aveva
alcuna conoscenza di bunraku né del linguaggio specifico del teatro, non sapeva come muoversi in
quell’ambiente né tantomeno nei confronti degli artisti. Si limitava perciò in questa prima fase a
fotografare i burattini quando erano fermi dietro le quinte.
Non fu cosa facile ottenere la considerazione degli attori addetti al movimento dei burattini e la loro
collaborazione nel momento chiave dello scatto della fotografia durante le rappresentazioni.
Soprattutto se si considera le personalità con cui lavorava, in seguito considerati come tesori nazionali
umani (ningen kokuhō): i maestri Yoshida Bungorō, Yoshida Eiza e Kiritake Monjūrō.
L’equipaggiamento fotografico per il bunraku era costituito da una macchina fotografica assemblata,
pesante, “grezza e primitiva”, come la descriveva Domon stesso, che in realtà doveva maneggiare come
una agile Leica se voleva catturare un palcoscenico in continuo cambiamento.
Il dopoguerra: l’affermazione del Realismo in fotografia
I tragici eventi legati alla Seconda guerra e la sconfitta del Giappone segnata dalle atrocità della bomba
atomica rivelarono il grande inganno della propaganda di guerra. In Giappone, sconfitta significò
sgretolamento del mito imperiale che aveva costituito il fondamento dell’ideologia militarista:
l’imperatore aveva pronunciato l’impronunciabile rinnegando la sua natura divina, mentre le forze di
occupazione americane procedevano allo smantellamento dello shintoismo di Stato che aveva
controllato il sistema educativo nazionale attraverso la compenetrazione di Stato e religione.
Se da una parte dalla fine degli anni Quaranta si assistette a una considerevole energia intellettuale che
portò a una veloce rinascita di riviste, pubblicazioni, mostre e circoli artistici, dall’altra nessun
linguaggio sembrava però essere adatto a esprimere una realtà così tragica, tanto che anche
l’espressione artistica sembrava un paradosso 3 . La popolazione necessitava crudamente e
prettamente di beni materiali essenziali quali cibo e medicine, casa e trasporti, per cui si fece strada
una sorta di sentimento sociale e agli slogan brutali della propaganda, si cercò di sostituire un
linguaggio che riuscisse a descrivere obiettivamente la mutata realtà.
In fotografia la soluzione si trovò nella meccanica e nella precisione della macchina fotografica che,
grazie anche agli avanzamenti tecnici come l’introduzione della 35 mm per il reportage e la diffusione
3 Cfr., Mark HOLBORN, “The Objective Eye. Photography in Japan”, in Aperture, n. 102, primavera 1986, pp. 9-13.
della pellicola a colori, permetteva di osservare, descrivere, documentare fin nei particolari ciò che
accadeva davanti all’obiettivo.
Domon Ken, che già aveva iniziato a usare questo tipo di linguaggio “frammentario”, diventò
promotore e leader della tendenza realista attraverso una fotografia che mostrava i cambiamenti della
città e della società, ma anche impegnandosi a livello teorico con conferenze, saggi, articoli e critiche
che propugnavano tra i fotografi amatori il realismo come giusto approccio. L’apice di questa tendenza
si ebbe intorno al 1953 e un peso enorme lo ebbe la mostra “La foto d’oggi: Giappone e Francia”,
tenutasi nel 1951 presso il Museo Nazionale d’Arte Moderna di Tokyo. Fu l’occasione per un confronto
con il realismo francese e nomi quali Cartier Bresson, Brassai, Doisneau. L’ultima parola di Domon sul
tema “realismo” apparve sulla rivista Photo Art nel 1957 con un articolo che dibatteva su due concetti
fondamentali della fotografia peraltro già da lui trattati: jijitsu, realtà, e shinjitsu, verità.
Verso un Realismo sociale: dai villaggi di minatori ai
sopravvissuti di Hiroshima
Per Domon, che era iscritto al partito comunista, fotografia realista significava affrontare in modo
diretto le ferite e le cicatrici di una società giapponese disintegrata e la sua fotografia riflette questo
impegno sociale e politico. Il suo fu un tentativo di registrare e testimoniare gli avvenimenti sociali,
con la stessa costanza e con la stessa franchezza con cui già stava affrontando l’arte classica, cercando
di riscoprire la vitalità del popolo giapponese. Le due pubblicazioni I bambini di Chikuhō (Chikuhō no
kodomotachi) e Hiroshima segnarono in questo senso l’apice dell’opera fotografica del postguerra.
Bambini
Domon amava i bambini. Aveva iniziato la sua carriera negli anni Trenta con un servizio sulla festa per
la presentazione dei bambini al santuario Shichi-go-san, aveva poi continuato con un servizio sui
bambini dediti alla pesca nella penisola di Izu, mentre nel dopoguerra a partire dal 1952 aveva
cominciato a girare per fotografare i bambini delle varie aree del Giappone. Determinante in questo
senso fu probabilmente anche la perdita della secondogenita, annegata in un canale per l’irrigazione
nel 1946.
Domon produsse diverse serie fotografiche sui bambini, catturando la vitalità delle strade dei quartieri
bassi di Tokyo e non solo, Ginza, Shinbashi, Nagoya, Osaka, e in particolare del quartiere di Kōtō dove
lui viveva che raccolse nel volume I bambini di Kōtō (Kōtō no kodomotachi). Di questa opera era
prevista una pubblicazione nel 1956, ma Domon insoddisfatto delle sue foto di un “realismo piccolo
borghese” 4 ne bloccò l’uscita.
Accanto a un sentimento nostalgico legato alla fanciullezza si fece strada in Domon uno sguardo
sempre più socialmente impegnato che segnò il passaggio a una fotografia realista di stampo socialista,
con cui denunciò la miseria dei villaggi nelle zone minerarie di Chikuhō nell’isola di Kyūshū. La nuova
politica economica varata a partire dal 1955, che doveva convertire l’industria carbonifera in
petrolifera, ebbe come risultato la chiusura delle miniere e, a distanza di cinque anni, un tasso di
disoccupazione insopportabile e un aumento della denutrizione dei bambini figli dei disoccupati.
Domon scelse di testimoniare la durezza della vita quotidiana attraverso gli occhi di bambini, spesso
4 Cfr. KISHI Tetsuo, “Domon Ken to ‘kodomo’ no shashin”, in DOMON Ken, Kodomotachi, Nikkoru Club, Tokyo,
1976, pp. 11-15. Pubblicato anche in KISHI Tetsuo, Domon Ken no sekai, Domon Ken Kinenkan, Sakata, 1985, pp.
66-73.
orfani e lasciati badare a se stessi, senza affrontare direttamente il tema politico. Alla raccolta I
bambini di Chikuhō (Chikuhō no kodomotachi) 5 pubblicata nel gennaio 1960 seguì a novembre il
volume, che ne segnò la continuazione, Il padre della piccola Rumie è morto (Rumie chan ha otōsan ga
shinda) che racconta, con immagini vivide e dirette e una predominanza del nero nelle fotografie
stampate su carta uso mano, le giornate di due sorelline Rumie e Sayuri, di 11 e 7 anni, nelle baracche
del villaggio di Akashi a Chikuhō 6. La pubblicazione venduta al prezzo di 100 yen divenne un best
seller raggiungendo le 100.000.
Nel 1976, Kamekura Yūsaku, maestro della grafica contemporanea e grande amico di Domon sin dagli
anni del Nippon Kōbō, curò un’edizione dal titolo Bambini (Kodomotachi) che raccoglie 101 fotografie
in tre sezioni, selezionate tra le 345 consegnategli e scattate da Domon nell’ultimo ventennio.
L’edizione in grande formato e pubblicata da Nikkor Club, l’associazione fotografica amatoriale legata
al marchio Nikon e a Domon è uno specchio del Giappone che cambia, con le strade che lasciano spazio
alle automobili e sempre meno bambini a scorazzarvi.
Hiroshima
Pubblicata nel marzo del 1958, l’anno precedente la prima emorragia cerebrale che colpì Domon Ken,
la raccolta Hiroshima 7 presenta centottanta fotografie introdotte da un breve saggio esplicativo.
L’opera a distanza di tredici anni dal lancio della bomba atomica su Hiroshima e poi su Nagasaki
richiamò nuovamente l’attenzione del mondo sulle ferite ancora vive ma ormai dimenticate di
Hiroshima sollevando una forte eco a livello sociale. E’ confermato da alcuni scatti ritrovati
recentemente, seppur in pessime condizioni, che Domon registrò negli stessi anni Nagasaki, tuttavia
colpisce il fatto che egli si sia rivolto a Hiroshima e vi abbia messo piede per la prima volta solo il 23
luglio 1957. Domon stesso ne registrò l’orario di arrivo nei suoi successivi appunti: erano le due e
quaranta del pomeriggio, a conferma dell’importanza che l’evento ebbe nella sua vita e nella sua
carriera. Inizialmente vi si era recato in veste di inviato, come fotografo professionista, per raccogliere
materiale per un servizio sulla rivista Shūkan shinchō, ma la sorpresa davanti a una situazione di
sofferenza ancora viva lo portò a recarvisi da lì a novembre per ben sei volte e un totale di trentasei
giorni. La raccolta Hiroshima, come le altre raccolte di Domon, era solo una sintesi riduttiva
incomparabile con la quantità di materiale raccolto sul campo. Si contano oltre settemilaottocento
negativi. Domon non risparmiava né se stesso né in materiali fotografici durante i suoi servizi: nell’uno
e nell’altro caso non scendeva a compromessi, ed era questa una libertà che diversi editori gli
rimproverarono.
A oltre dieci anni dalla tragica fine del conflitto le informazioni sulla bomba atomica continuavano a
essere frammentarie, a volte assolutamente mancanti. Le forze di occupazione americana e lo stesso
governo giapponese preferirono tralasciarne e sminuirne effetti e conseguenze, che rimanevano
comunque visibili negli ospedali e nel privato di molte famiglie, così come furono trascurati gli studi, i
rifornimenti di medicinali e i trattamenti medico-chirurgici alle vittime. Solo dopo il 1951, anno del
Trattato di Pace di San Francisco, fotografie, disegni, poesie, scritti testimonianti i disastri causati dalla
bomba ebbero libera pubblicazione. Tra questi, il numero del 6 agosto 1952 del settimanale Asahi
graphic, che pubblicò alcune fotografie sui disastri provocati a Nagasaki e a Hiroshima, sconvolse i
5 DOMON Ken, Chikuhō no kodomotachi, Patoria shoten, Tokyo 1960.
6 DOMON Ken, Chikuhō no kodomotachi. Rumie chan ha otōsan ga shinda, (continuazione), Kenkōsha, Tokyo,
1960.
7 DOMON Ken, Hiroshima, Kenkōsha, Tokyo,1958.
lettori di tutto il Giappone al punto che si può dire conobbero per la prima volta quanto accaduto in
questa occasione.
Domon con la sua 35 mm rivelò i luoghi e le persone colpite dalla bomba: osservò e registrò
freddamente e orribilmente - perché tale era la realtà - i danni materiali e fisici, le cicatrici profonde, le
operazioni di chirurgia plastica e i trapianti subiti dalle vittime della bomba, dedicando proprio ai
progressi nel campo della chirurgia plastica le quattordici pagine di apertura del volume, che
divennero un vero e proprio dossier fotografico.
[…]quando cominciai a scattare le fotografare alle vittime, si mettevano volontariamente davanti alla mia
macchina fotografica, con il sincero desiderio che le mie fotografie aiutassero a evitare che altri giapponesi
cadessero vittime di bombe atomiche come loro. […]Quante volte scattai con le lacrime che mi riempivano gli occhi!
8
Le foto delle operazioni chirurgiche, che registravano nei particolari corpi mutilati e coperti da
escoriazioni, tagli, suture, fino a evidenziarne ogni singolo filo, furono criticate come registrazioni
materialistiche e un inutile prolungamento della crudeltà di nessun interesse scientifico perché, a
detta dei critici, mostravano operazioni di routine. Consapevole dello shock che tali immagini
provocavano nel pubblico Domon rispose regolarmente alle critiche:
[…] in questo caso non si tratta di fotografie di operazioni chirurgiche in senso generico, invece esse
parlano di chirurgia plastica da danni provocati da bomba atomica. Non importa che il risultato sia buono
o cattivo, ciò su cui ho voluto prestare estrema attenzione è la causa delle operazioni. E’ naturale che far
volgere lo sguardo sulla chirurgia plastica della keloide a persone che guardano per la prima volta
comporti uno shock e che questo sia considerato come una violenza. Ma è chiaro che lo scopo è proprio
questo. […]9 .
Il premio nobel Ōe Kenzaburō in un articolo comparso sulla rivista Shinchō definì il volume Hiroshima
come la prima opera d’arte moderna:
[…]nel 1958 molti gruppi lavorarono nel campo dell’arte. Sorpassando tutti i risultati da questi raggiunti,
Hiroshima di Domon Ken si conferma come l’opera d’arte più moderna. […]Domon nel 1958 ritrasse i
giapponesi che lottavano contro la bomba atomica. Ritrarre persone vive che lottano contro la bomba, e
non il mondo dei morti a causa della bomba, significò affrontare di petto l’essenza dell’arte da un punto di
vista completamente umano […]10
Fu un punto di svolta per l’arte del dopoguerra, perché si entrò nel vivo della realtà di quegli anni,
mettendo a fuoco l’irrazionalità del genere umano e il dramma coraggioso e commovente delle vittime
di tale irrazionalità, mostrando i vivi anziché i morti.
8 DOMON Ken, Hiroshima,…op. cit., introduzione, (T.d.a.) .
9 DOMON Ken, “Hiroshima wo megutte”, (atti di una tavola rotonda), in Photo Art, n. luglio 1958, in DOMON Ken,
Shashin zuihitsu, David sha., Tokyo, 1979, pp. 203-216.
10 ŌE, Kenzaburō, “Domon Ken no Hiroshima”, in Shinchō, n. 28 dicembre, 1977, cit. in DOMON, Ken, Domon Ken
no kojijunrei, vol. 5, op.cit., pp. 133-139.
Ritratti di un’epoca: Fubō
Nel 1953 la pubblicazione della raccolta fotografica Ritratti (Fūbō)11, ripubblicata in edizione
economica12 l’anno successivo, concluse quindici anni di fotografia dedicata al ritratto.
A partire dalla prima fotografia scattata nel maggio 1936 che ritraeva lo scrittore Takeda Rintarō e
proseguendo durante la guerra fino all’anno della pubblicazione, Domon raccolse in un unico volume
83 ritratti di amici, conoscenti, personaggi pubblici del mondo dello spettacolo, della letteratura, del
teatro, della politica, chiarendo da subito nell’introduzione che si trattava di
[…] persone che rispetto, che mi piacciono, che mi sono vicine […]”13. […] La selezione delle persone è stata
sorprendentemente soggettiva e casuale e non c’è dubbio che non possa pretendere alcun significato strettamente
storico – culturale […].
[…]In ognuna di quelle fotografie penso ci sia stata coerenza con lo spirito originale della foto di ritratto, che vuole
essere un inseguimento dell’immagine umana in qualità di esistenza storica e sociale; tuttavia nel metodo per
perseguire tali possibilità non mancano complicazioni e sconnessioni. 14
I volti dei candidati a essere inseriti nella raccolta sembra li avesse scritti con l’inchiostro su una porta
scorrevole al secondo piano della propria abitazione nel 1948, prima di sottoporli ad amici ed editori
che continuamente visitavano la sua casa ed eventualmente sostituirli con altri.
Attraverso i volti noti e meno noti dei personaggi ritratti, Domon rivela il volto del Giappone di
un’epoca: i grandi letterati come Mishima, Kawabata o Tanizaki, attori e registi come Mifune e Ozu, i
grandi amici artisti che diedero avvio alla nuova epoca quali lo scultore Noguchi, il graphic designer
Kamekura, l’iniziatore della scuola ikebana Sōgetsu Teshigahara, ma anche pittori come Fujita,
Umehara, Okamoto,
Ogni foto è accompagnata dal nome, dalla professione e dalla data dello scatto, oltre a raccontare, in
forma di brevi testi, il rapporto che legava Domon alla persona ritratta e il clima che si era creato
durante il servizio fotografico.
Capitava che i soggetti si arrabbiassero per l’ostinazione del fotografo, come è evidente nel ritratto di
Umehara che, come racconta Domon stesso, ebbe una reazione alquanto irritata se non intimidatoria
di fronte ai suoi scatti: una delle descrizioni più vivaci e colorite di ciò che poteva accadere durante i
servizi di Domon15. D’altra parte si percepisce chiaramente cosa intendesse per ritratto in queste sue
parole:
11 DOMON Ken, Fūbō (Apparenze), ARS, Tokyo, 1953 (1° ed.). Riedito in DOMON Ken, Domon Ken no Shōwa ,
(voll. 5), Shogakukan, Tokyo, 1995, vol. 1.
12 DOMON Ken, Fūbō, ARS, Tokyo, 1954.
13 DOMON Ken, Fūbō, introduzione, ARS, 1953, in DOMON Ken, Domon Ken essei shū Shashin to jinsei, Iwanami
shoten, Tokyo, 1997, pp. 86-88.
14 DOMON, Ken, Fūbō, introduzione…, op. cit. p.61.
15 DOMON Ken, “Umehara san wo utsusu”, in Asahi shinbun, 8 ottobre 1950, in DOMON Ken, Domon Ken essei shū
…, op. cit., pp. 82-84, DOMON Ken, “Umehara Ryūsaburō wo okoraseta hanashi”, in Shinu koto to ikiru koto, …op.
cit., pp. 152- 161.
Se si decide di fotografare il bellissimo volto di una donna, non c’è altra scelta che diventare
l’amante di quella donna16.
Naturalmente questa immediatezza e istantaneità da lui ricercata divenne sempre più possibile grazie
ai miglioramenti tecnici, che gli permisero di passare da una macchina assemblata per ritratti in
formato cabinet, a lastra secca e con il flash che funzionava con la polvere di magnesio, utilizzata prima
della guerra al piccolo formato della Leica nel dopoguerra.
L’energia appare negli occhi.
La vita appare nel colore del viso.
La cultura appare nella voce. Ma, sarà forse triste, la voce non diventa soggetto fotografico.
[…]
Le emozioni tenute nascoste nel cuore appaiono nel contorno bocca.
[…]
L’età appare principalmente nella figura di spalle. Così la tristezza…17
Pellegrinaggio ai templi antichi (Kojijunrei)
Il Murōji
La prima tappa di quello che diventò per Domon il “pellegrinaggio ai templi antichi” che lo
accompagnò per tutta la vita, formando l’opera enciclopedica omonima (Pellegrinaggio ai templi
antichi) Kojijunrei, fu un piccolo tempio immerso nel verde delle montagne di Nara, il Murōji.
Una semplice escursione nel 1939, suggerita dall’amico e storico dell’arte Mizusawa Sumio (1905-
1975), gli trasformò la vita riconducendolo sul posto a fotografare per ben quaranta volte solo il primo
anno e ancora decine e decine di volte 18 negli anni successivi. Fu l’apparente immutabilità della natura
maestosa di questo tempietto, legato al buddhismo esoterico Shingon, situato fuori Nara lungo il fiume
Murō a farlo innamorare.
Domon iniziò la documentazione nel 1940 focalizzandosi prima sugli edifici, sulla pagoda a cinque
piani - la più piccola del Giappone - e poi sui particolari dell’architettura e delle sculture presenti in
essa, senza tralasciare l’imponente sagoma del Buddha Miroku dell’Ōnodera scavato sulla parete
rocciosa affacciata sul fiume lungo la strada che conduce al Murōji. In una seconda fase, si concentrò
sulle statue lignee (kōninbutsu) di epoca Heian (794-1185) alloggiate all’interno del tempio e,
partendo da inquadrature ampie e complessive, arrivò a cogliere i più minuti particolari enfatizzando
la materia e le venature del legno: le pieghe e i lembi delle vesti, la gestualità delle mani, gli sguardi. Le
16 DOMON Ken, “Shōzō shashin ni tsuite”, in Fūbō, ARS, Tokyo, 1953, in DOMON Ken, “Fūbō”, Domon Ken no…op.
cit., pp. 145-147, e in DOMON Ken, Shinu koto to ikiru koto,…op.cit., pp. 208-213.
17 DOMON Ken, “Shōzō shashin ni tsuite”,…op. cit..
18 Cfr. DOMON Ken, “Murōji ni tsuite” “Sul Murōji”), in Murōji, Bijutsu shuppansha, Tokyo, 1954. Pubblicato in,
DOMON Ken, “Murōji ni tsuite”, Shinu koto to ikiru koto. (tsuzuku) (Del morire e del vivere. Continuazine),Tsukiji
shokan, Tokyo, 1995, pp. 90-97.
DOMON Ken, “Mata Murōji wo” (“Ancora sul Murōji”), Asahi shinbun, 14 novembre 1977, ed. serale. Pubblicato in,
Domon Ken essei shū…, pp. 248-250, op.cit., p.29.
preferiva a quelle bronzee o dorate perchè riteneva che i loro lineamenti fossero i “più belli di ogni
altra” fino ad affermare emozionato che il Buddha Shaka assiso nel Mirokudō con il suo “volto
bellissimo e compassionevole” fosse “l’uomo più bello sulla terra”19.
Le macchine che utilizzava per le riprese erano due, la prima riuscì a comprarsela solo nel 1941 ed era
un modello base in legno della Konishiroku (l’attuale Konika) indicata per il fotoritratto formato
cabinet. La seconda era una Eyemo20 con treppiede che veniva trasportata a spalla dagli assistenti.
Il risultato delle tante visite si ebbe nel 1954, quando fu pubblicata la raccolta Murōji21, completata nel
1978 dall’edizione definitiva Nyonin Takano Murōji 22 , integrata con fotografie scattate
successivamente alla prima edizione con le nuove tecniche fotografiche del dopoguerra.
Grandi e piccole vedute intorno ai templi
Le migliaia di scatti che Domon raccolse nei 39 templi scelti sul territorio giapponese a partire dal
1939 e fino agli anni Settanta - nonostante le due emorragie cerebrali che lo colpirono nel dicembre
1959 e il 22 giugno 1968 - confluirono nel capolavoro della sua carriera per cui ancora oggi è
ricordato da tutti, il Pellegrinaggio ai templi antichi (Kojijunrei)23 . Cinque volumi usciti in sequenza - il
primo nel 1963, il secondo nel 1965, il terzo nel 1968, il quarto nel 1971 e il quinto nel 1975 - che
contengono 462 foto a colori e 325 in gravure di templi e statue risalenti tra il VII e il XVI secolo
secondo un semplice criterio soggettivo che non prevedeva un risultato di tali proporzioni.
Inizialmente pubblicava periodicamente su Camera mainichi, ma rivelatosi insufficiente il formato in
fascicolo, Domon con l’amico capo redattore della rivista, Kishi Tetsuo, iniziarono a lavorare a volumi
di alta qualità inserendo anche foto a colori, diversamente dal volume Murōji del 1954 dove ancora
non c’era l’uso della pellicola a colori adottata da Domon nell’autunno del 1958. Si trattava della
Ektachrome E-1 (ASA 10) appena messa sul mercato; una pellicola a bassa sensibilità, che necessitava
di una lunga esposizione, non sempre garantendo risultati soddisfacenti soprattutto in termini di
stabilità d’immagine negli interni, se si considera oltretutto che era proibito l’uso del flash nei luoghi di
culto in cui Domon si muoveva. La serie Kojijunrei fu anche segnata da cambiamenti tecnici legati alla
salute del maestro: il primo ictus nel 1959 lo costrinse a un semestre di riabilitazione e tuttavia, anche
una volta ripresosi, non riuscì comunque a impugnare la macchina correttamente con la mano destra
per cui passò alla macchina fotografica di grande formato con treppiede, come ai tempi del teatro
bunraku, riprendendo il suo viaggio nell’agosto del 1959. Nel 1968, durante un servizio fotografico
nella provincia di Yamaguchi, Domon fu colpito da una seconda emorragia cerebrale che gli procurò la
paresi della parte destra del corpo costringendolo infine in sedia a rotelle. Durante la terapia continuò
a fotografare e questa volta anche a dipingere, ma questo cambiamento comportò di nuovo modifiche
a livello tecnico visibili nel quinto volume della serie Kojijunrei:
L’angolazione preparata dall’assistente era all’altezza dei miei occhi quando stavo in posizione eretta,
prima della malattia. Era una differenza di circa 50 cm. ma mi faceva innervosire. La sedia a rotelle si era
sostituita alle mie gambe e senza accorgermene il mio punto di vista si era abbassato, avevo finito con
l’abituarmi alla vista del mondo dalla sedia a rotelle.
19 “Owari no nai butsuzō satsuei”, Photo Art, n. aprile 1974. Riportato in, DOMON Ken, Domon Ken no kojijunrei,
vol. 2, Shogakukan, Tokyo, 1989, p.140.
20 In giapponese AIMO. Si tratta di una 35 mm., costruita verso il 1926 dalla Bell & Howell.
21 DOMON Ken, Murōji, Bijutsu shuppansha, Tokyo, 1954, 1° ed. rieditata in, DOMON Ken, Domon Ken no
kojijunrei, Shogakukan, Tokyo, 1989, vol. 5.
22 DOMON, Ken, Nyonin Takano Murōji, Bijutsu shuppansha, Tokyo, 1978.
23 DOMON Ken, Kojijunrei, 5 voll, Bijutsu shuppansha, Tokyo, 1° vol. pubblicato nel 1963, 2°vol. 1965, 3° vol.
1968, 4° vol. 1971, 5° vol. 1975. Edito in ediz. econ., DOMON Ken, Kojijunrei, Bijutsu shuppansha, Tokyo, 1965,
voll. 3. DOMON, Ken, Domon Ken no kojijunrei, Shogakukan, Tokyo, 1989, voll. 7.
…ora, io dovevo decidere o per un’altezza corrispondente alla mia vista nella posizione eretta di quando
stavo bene, o adattarla alla vista dalla sedia a rotelle. Ora che il punto di vista dalla posizione seduta era
già divenuto la mia posizione naturale, l’alzarmi in piedi si era ridimensionato a un semplice
allungamento della schiena. Perciò, in modo naturale, io mi stabilizzai su un punto di vista dalla sedia a
rotelle. 24
Domon rimaneva ad osservare una singola scultura anche per ore, fino a dimenticarne la plasticità, ad
astrarla dal sapere stabilito che la avvolgeva, fino ad esserne esausto. Solo allora cominciava a
fotografare.
Nel tempo, la malattia lo aveva segnato profondamente e caratterialmente rendendolo meno
esibizionista e più pacato tecnicamente. Non lo chimavano più Oni no Domon (Domon il diavolo), ma
Otoke no Domon (Domon il santo) 25.
[testi a cura di Rossella Menegazzo]
24

Ken, considerato un maestro assoluto della fotografia giapponese e iniziatore della
corrente realistica, segnò un capitolo epocale nella storia della fotografia giapponese del dopoguerra,
facendo da base alla produzione fotografica contemporanea e rimanendo punto di riferimento a
tutt’oggi per i circoli fotografici amatoriali giapponesi. Domon sosteneva che “la dote fondamentale di
un’opera di qualità sta nella connessione diretta tra la macchina fotografica e il soggetto”. Il Maestro era,
infatti, sempre alla ricerca di una immagine del tutto realistica, priva di drammaticità. Sullo sfondo
dello spirito rinfrancato del dopoguerra, rivolgeva lo sguardo alla società in generale e alla vita
quotidiana: “Sono immerso nella realtà sociale di oggi ma allo stesso tempo vivo le tradizioni e la cultura
classica di Nara e Kyoto; il duplice coinvolgimento ha come denominatore comune la ricerca del punto in
cui le due realtà sono legate ai destini della gente, la rabbia, la tristezza, la gioia del popolo giapponese”.
La fotografia realistica, definita “un’istantanea assolutamente non drammatica”, è dunque la
protagonista della mostra che, attraverso un percorso per tematiche, racconta l’ampio lavoro del
Maestro abbracciando tutta la cultura giapponese in modo trasversale: dall’esordio con una fotografia
di tipo giornalistico e a servizio della propaganda anteguerra e della promozione culturale del Paese
verso l’estero (Fotogiornalismo e propaganda anteguerra, Il dopoguerra: verso un realismo sociale), a
una fotografia rivolta alla registrazione della vita quotidiana e alla città che si trasforma e si
occidentalizza, con un’attenzione sempre più forte ai temi sociali. Il suo realismo sociale si esprime in
particolare attraverso due reportage rappresentativi di quest’epoca, Hiroshima (1958), considerata dal
premio nobel Oe Kenzaburo la prima grande opera moderna del Giappone, e i Bambini di Chikuho,
serie fotografica sulla situazione di miseria nei villaggi di minatori del sud del Giappone con un’ampia
e vivace ritrattistica di bambini incontrati per le strade del Paese.
Segue una sezione di Ritratti con volti di personaggi famosi del mondo dell’arte, della letteratura, della
cultura, della scienza, da Yukio Mishima a Jun’ichiro Tanizaki, da Taro Okamoto a Yusaku Kamekura;
infine una sezione dedicata alla sua serie più importante Pellegrinaggio ai Templi Antichi, una
raccolta di immagini di sculture e architetture buddhiste, tesori e scorci di paesaggi, còlti nei suoi
viaggi lungo tutto il Paese alla ricerca della bellezza dei luoghi sacri dell’antichità. Paesaggi che
evocano il fascino della diversità culturale e dell’esotico.
L’opera di Domon Ken può essere definita autobiografica, una documentazione privata prima che
sociale, selezionata sempre con criteri personali che trasformano lo scatto in un momento di dialogo
con il soggetto. Il suo sguardo fisso sul soggetto, che sia un paesaggio, una scultura, una persona o un
oggetto è foriero della bellezza universale guardata attraverso l’obiettivo, che non tralascia le
caratteristiche fisiche della forma ritratta.
Primo fotografo alla cui immensa opera viene dedicato un museo personale nella città natale di
Sakata nel 2003, figura poliedrica che abbraccia attraverso la fotografia l’intera cultura giapponese
prima e dopo il conflitto mondiale, Domon Ken insieme ad altri amici e grandi personalità del mondo
artistico nipponico diedero avvio a quel rinnovamento culturale che fece uscire definitivamente il
Giappone dalla disfatta della guerra conducendo a quell’estetica contemporanea a cui ancora oggi tutto
il mondo fa riferimento.
La mostra si inserisce in un vasto programma di eventi che rappresenteranno il mondo culturale e
tecnologico del Giappone in Italia per tutto il 2016: grandi mostre d’arte, performance teatrali di
burattini (bunraku) e della grande tradizione del Nō, concerti e spettacoli di danza moderni e
tradizionali, rassegne cinematografiche, eventi d’architettura e design, e poi fumetto, letteratura, sport
e molto altro ancora. L’occasione è la celebrazione del 150° anniversario del primo Trattato di
Amicizia e Commercio, firmato il 25 agosto 1866, tra Italia e Giappone, che diede inizio ai rapporti
diplomatici tra i due Paesi.
Il 2016 sarà anche l’occasione per approfondire gli scambi culturali, economici, politici, sociali tra
il nostro Paese e il Giappone. Un fitto programma di eventi e celebrazioni, selezionati in Italia dal
Comitato per il coordinamento del 150° Anniversario delle relazioni tra Giappone e Italia, con la preziosa
collaborazione di tante realtà pubbliche e private, tra cui l’Ambasciata del Giappone in Italia, il
Consolato Generale del Giappone a Milano, l’Istituto Giapponese di Cultura a Roma, Mondo Mostre
Skira, l’Università degli Studi di Milano e molte altre, dacché, come auspica l’Ambasciatore Kazuyoshi
Umemoto: “Attraverso iniziative di interscambio che spazieranno negli ambiti più diversi, quali politica,
economia, cultura, scienza e tecnologia, turismo e istruzione, la reciproca comprensione tra i due Paesi e
tra le rispettive cittadinanze possa andare incontro ad un ulteriore progresso, e che questa sia l'occasione
per il dischiudersi di nuove prospettive per le relazioni bilaterali. Le relazioni tra due Paesi in ultima
analisi non sono che rapporti tra esseri umani”.

L’anteguerra.
Dal fotogiornalismo alla fotografia di propaganda
Domon esordisce nella fotografia nel 1933, all’età di 24 anni, come umile allievo apprendista nello studio
fotografico di Miyauchi Kōtarō a Ueno. Presto si aggiudica svariati premi e inizia a tenere rubriche su riviste e
giornali fotografici, pubblicando la sua prima foto su Asahi Camera nell’agosto del 1935. La svolta definitiva della
sua carriera avviene il 10 ottobre dello stesso anno quando risponde all’annuncio pubblicato dallo studio Nippon
Kōbō di Ginza che stava cercando un tecnico fotografo. Fondato da Natori Yōnosuke (1910-1962), rientrato
dall’esperienza berlinese presso il Berliner Illustrierte Zeitung, lo studio diffonde per la prima volta in Giappone
concetti quali l’editing e il reporting e un nuovo sistema di produzione basato sulla collaborazione tra fotografo e
graphic designer sotto la supervisione di un art director, che porta alla diffusione su larga scala del
fotogiornalismo. Domon inizia i suoi primi reportage per la rivista Nippon, scritta appositamente in lingua
inglese per promuovere la cultura giapponese all’estero in un linguaggio misto tra informazione e propaganda. Il
suo primo reportage fotografico riguarda il tradizionale Festival Shichigosan in occasione della presentazione dei
bambini al santuario Meiji Jingu e lo realizza con la sua Leica modello C. A questo ne seguono altri che
presentano l’artigianato, le tradizioni, l’avanzamento industriale e militare e il lato progressista del Giappone che
negli anni ‘30 si muove in direzione sempre più nazionalistica.
Gli anni della guerra e il teatro di burattini bunraku
Durante gli anni di massima espansione giapponese nel Pacifico, immediatamente precedenti alla Seconda
Guerra Mondiale, anche la fotografia deve sottostare alle rigide regole della politica militare. Pochissimi fotografi
professionisti possono ottenere l’assegnazione di materiale fotografico per incarichi reputati “essenziali”, ed
“essenziali” sono naturalmente i servizi fotografici subordinati alle esigenze propagandistiche del governo, del
Ministero degli Esteri, dell’Agenzia internazionale del turismo, della Società per le relazioni culturali
internazionali.
Molte pubblicazioni fotografiche vengono così interrotte, con ripercussioni a livello economico sui fotografi: lo
stesso Domon deve far fronte alle difficoltà di mantenere una famiglia di sette persone. Per lui si aggiunge anche
l’ansia del probabile arrivo del “cartellino rosso” che lo avrebbe richiamato alle armi e probabilmente al fronte,
come membro del gruppo di fotogiornalisti. In risposta a questa situazione critica, Domon decide di ritirarsi dalla
scena pubblica per dedicarsi alla cultura e alla classicità, in particolare ai templi buddhisti e al teatro di burattini
Bunraku.
L’8 dicembre 1941 si trovava proprio nel backstage del Teatro Bunraku di Yotsubashi a Osaka quando legge
l’edizione straordinaria che annuncia la dichiarazione di guerra agli Stati Uniti. Non è cosa facile ottenere la
considerazione e la collaborazione dei maestri burattinai - tesori nazionali viventi come Yoshida Bungorō,
Yoshida Eiza e Kiritake Monjūrō - nel momento chiave dello scatto, con una macchina che non passa di certo
inosservata per dimensioni e lunghi tempi di esposizione. Tuttavia, entro il 1943 Domon ha realizzato circa
7.000 negativi, raccolti nel volume Bunraku pubblicato nel 1972.
2
Il dopoguerra.
L’affermazione del Realismo in fotografia
I tragici eventi legati alla Seconda Guerra Mondiale e alla disfatta del Giappone, segnato dalle atrocità della
bomba atomica, rivelano il grande inganno della propaganda di guerra. La sconfitta porta allo sgretolamento del
mito imperiale e dello shintoismo di Stato che aveva costituito il fondamento dell’ideologia militarista.
Se da una parte, dalla fine degli anni ’40, si assiste a una considerevole rinascita intellettuale che porta a una
veloce ripresa della diffusione di riviste e pubblicazioni, di mostre e alla nascita di circoli artistici, dall’altra
nessun linguaggio sembra però essere adatto a esprimere una realtà così tragica. È necessario documentare una
società in profondo cambiamento. Domon si rende promotore di una fotografia realista, diventando così il punto
di riferimento per i fotoamatori: è lui a documentare le mode occidentali che pervadono la città, così come i vicoli
e le fasce più povere della popolazione. L’apice della tendenza realista è raggiunto intorno al 1953 grazie anche
alla mostra La foto d’oggi: Giappone e Francia, tenutasi nel 1951 presso il Museo Nazionale d’Arte Moderna di
Tokyo, che costituisce un’occasione di confronto con nomi quali Cartier Bresson, Brassai, Doisneau. L’ultima
parola di Domon sul tema del realismo appare invece sulla rivista Photo Art nel 1957 con un articolo che dibatte
su due concetti fondamentali della fotografia: jijitsu, realtà, e shinjitsu, verità.
Bambini e villaggi di minatori.
Domon ama i bambini. I suoi primi servizi per Nippon si concentrano sul Festival Shichigosan e poi sulla pesca dei
bambini a Izu. A partire dal 1952 inizia a fotografarli in giro per tutto il Giappone, catturando la vitalità delle
strade dei quartieri bassi di Tokyo, Ginza, Shinbashi, ma anche di Nagoya, Osaka, e in particolare del quartiere di
Kōtō, dove vive. Probabilmente anche a causa della perdita della secondogenita, avvenuta nel 1946 a causa di un
incidente, Domon si sposta sempre di più verso un approccio realista sociale, se non socialista, che gli permette
di toccare temi di attualità in modo indiretto, attraverso lo sguardo innocente dei bambini.
Diversi sono i volumi dedicati a questo tema: I bambini di Kōtō (Kōtō no kodomotachi), di cui però blocca la
pubblicazione nel 1956 perché insoddisfatto del suo lavoro; I bambini di Chikuhō (Chikuhō no kodomotachi),
pubblicato nel gennaio 1960, a cui fa seguito a novembre la continuazione “Il padre della piccola Rumie è morto
(Rumie chan ha otōsan ga shinda), che mostra le misere condizioni dei bambini nei villaggi dell’area mineraria
dell’isola di Kyūshū, e in particolare la storia di due sorelline orfane di padre che commuovono il Giappone,
rendendo l’opera un bestseller. Infine la raccolta Bambini (Kodomotachi), vero specchio del Giappone in pieno
cambiamento, pubblicata nel 1976 a cura del maestro della grafica e amico Kamekura Yūsaku, ed edita dal
Nikkor Club, associazione fotografica amatoriale legata al marchio Nikon e a Domon.
Hiroshima
La raccolta Hiroshima presenta 180 fotografie introdotte da un breve saggio esplicativo. L’opera, pubblicata nel
marzo del 1958, l’anno precedente alla prima emorragia cerebrale che colpisce Domon Ken, e a distanza di
tredici anni dal lancio della bomba atomica su Hiroshima e poi su Nagasaki, richiama nuovamente l’attenzione
del mondo sulle ferite ancora vive ma quasi dimenticate di Hiroshima, sollevando una forte eco sociale.
L’importanza di questo evento nella vita del fotografo è testimoniata anche dal fatto che Domon registra sul suo
taccuino giorno e ora di arrivo: 23 luglio 1957, ore 14:40. Da allora e fino a novembre vi si reca per ben sei volte,
trentasei giorni in totale, producendo oltre 7.800 negativi di cui Hiroshima è solo una sintesi.
Domon si rende conto che fino ad allora ha ignorato e temuto ciò che Hiroshima aveva realmente significato. Con
la sua 35mm fotografa i luoghi e le persone colpite dalla bomba atomica direttamente e indirettamente,
registrando freddamente, ma con le lacrime agli occhi, i danni materiali, le lesioni fisiche, le cicatrici, le
deformazioni, le operazioni di chirurgia plastica e i trapianti subiti dalle vittime della bomba, e dedicando ai
progressi nel campo della chirurgia plastica le quattordici pagine di apertura del volume, che diventano un vero
e proprio dossier fotografico. Lo shock del pubblico, seguìto alla pubblicazione del dossier, lo mette al centro di
aspre critiche che, tuttavia, non riescono a minare la sua incrollabile volontà di rappresentare la realtà. In un
articolo comparso sulla rivista Shinchō del 1977 il premio Nobel Ōe Kenzaburō definisce il volume Hiroshima
come la prima opera d’arte moderna che affronta il tema dell’atomica parlando dei vivi, anziché dei morti.
3
Ritratti (Fūbō)
Nel 1953 la pubblicazione della raccolta fotografica Ritratti (Fūbō), uscita in edizione economica l’anno
successivo, conclude quindici anni di lavoro dedicato al ritratto che avevano avuto inizio nel maggio 1936 con lo
scatto che ritraeva lo scrittore Takeda Rintarō, per proseguire durante la guerra fino all’anno dell’uscita della
raccolta. Domon riunisce in un unico volume 83 ritratti di amici, conoscenti, personalità del mondo dello
spettacolo, della letteratura, del teatro, della politica, sottolineando nell’introduzione che si trattava di «[…]
persone che rispetto, che mi piacciono, che mi sono vicine. […] La selezione delle persone è stata
sorprendentemente soggettiva e casuale e non c’è dubbio che non possa pretendere alcun significato
strettamente storico – culturale».
Sembra che una prima scelta dei volti dei soggetti da inserire nella raccolta sia stata fatta da Domon nel 1948
attraverso una lista scritta a inchiostro su una porta scorrevole al secondo piano della sua abitazione. Questa
veniva di volta in volta sottoposta ad amici ed editori che frequentavano casa sua e subiva quindi continui
sostituzioni e cambiamenti.
Attraverso i volti noti e meno noti dei personaggi ritratti, Domon rende testimonianza di un’epoca cruciale del
Giappone, quella dei grandi letterati quali Mishima, Kawabata e Tanizaki; di attori e registi del calibro di Mifune e
Ozu; di grandi artisti, spesso suoi amici, che diedero avvio a una nuova importante fase artistica del Paese, come
lo scultore Noguchi, il grafico Kamekura, l’iniziatore della scuola ikebana Sōgetsu Teshigahara, o pittori come
Fujita, Umehara, Okamoto, Ogni foto è accompagnata dal nome del soggetto, dalla professione esercitata e
riporta la data dello scatto. Vi sono anche brevi testi che raccontano il rapporto tra Domon e la persona ritratta,
oltre al clima che si era creato durante il servizio fotografico. Capitava così che alcuni soggetti fossero esasperati
dall’ostinazione professionale di Domon, come appare evidente nel ritratto di Umehara da cui traspare una certa
aria irritata al limite della sopportazione. L’immediatezza e l’istantaneità, da sempre obiettivo del lavoro di
Domon, diventano più facili da raggiungere grazie agli sviluppi in campo tecnico: egli passa, infatti, da una
macchina assemblata per ritratti in formato cabinet - a lastra secca e con il flash che funzionava con la polvere di
magnesio, utilizzata prima della guerra - al piccolo formato della Leica nel dopoguerra.
Pellegrinaggio ai templi antichi (Kojijunrei)
Murōji
Il Murōji, un piccolo tempio immerso nel verde delle montagne di Nara, è per Domon la prima tappa di un vero e
proprio “pellegrinaggio ai templi antichi”, una sorta di viaggio dell’anima che lo accompagna per tutta la vita e da
cui nasce l’opera enciclopedica Kojijunrei (Pellegrinaggio ai templi antichi).
Tutto ha inizio nel 1939 da una semplice escursione, suggeritagli dall’amico e storico dell’arte Mizusawa Sumio
(1905-1975): un’esperienza che cambia la sua vita. Solo nel primo anno vi torna altre quaranta volte e decine di
altre ancora nel corso degli anni successivi.
Dapprima Domon focalizza il suo lavoro fotografico sugli edifici, dalla pagoda a cinque piani - la più piccola del
Giappone - ai particolari dell’architettura, fino a puntare l’attenzione sulle sculture in essa contenute, ma anche
sull’imponente sagoma del Buddha Miroku di Ōnodera, scavato sulla parete rocciosa affacciata sul fiume lungo la
strada che conduce al Murōji.
In un secondo momento, si concentra sulle statue lignee (kōninbutsu) di epoca Heian (794-1185) all’interno del
tempio e, partendo dapprima da inquadrature ampie e complessive, arriva poi a cogliere i più minuti dettagli
della materia lignea, così da enfatizzare le pieghe e i lembi delle vesti, la gestualità delle mani, gli sguardi. La sua
statua preferita è Buddha Shaka del Mirokudō che, seduto, con il suo “volto bellissimo e compassionevole”
Domon ritiene essere “l’uomo più bello sulla terra”.
Per questo particolare lavoro utilizza una macchina modello base in legno, della Konishiroku (l’attuale Konika)
altamente indicata per il foto ritratto formato cabinet acquistata nel 1941, ma anche una Eyemo con treppiede,
sovente trasportata a spalla dagli assistenti. La testimonianza dei numerosi pellegrinaggi di Domon e dei suoi
innumerevoli scatti la si trova nella raccolta Murōji del 1954. L’edizione ampliata e definitiva di questo lavoro,
Nyonin Takano Murōji, è del 1978 e vi si trovano fotografie scattate successivamente e con le nuove tecniche del
dopoguerra.
4
Pellegrinaggio ai templi antichi (Kojijunrei)
Intorno ai templi
Le migliaia di scatti che Domon fa a 39 templi a partire dal 1939 e fino agli anni ’70 confluiscono nel
Pellegrinaggio ai templi antichi (Kojijunrei), il capolavoro della sua carriera per il quale, ancora oggi, è
universalmente conosciuto. Si tratta di cinque volumi usciti a distanza di alcuni anni uno dall’altro (il primo nel
1963, il secondo nel 1965, il terzo nel 1968, il quarto nel 1971 e il quinto nel 1975) che raccolgono 462 foto a
colori e 325 in gravure di templi e statue costruiti tra il VII e il XVI secolo, seguendo un criterio soggettivo e che
non prevedeva un risultato di simili proporzioni.
È in primo luogo un’opera che documenta la bellezza dell’architettura, della scultura, dei giardini e dei paesaggi
intorno ai templi e ai santuari selezionati da Domon; tuttavia è anche testimonianza del progredire della tecnica
fotografica di quegli anni, quali ad esempio il passaggio alla pellicola a colori del 1958, e delle alterne vicende di
salute di Domon che influirono parimenti sulle sue scelte.
Nel dicembre 1959 viene colpito da un’emorragia cerebrale che gli causa la paresi della parte destra del corpo
rendendogli impossibile reggere la macchina fotografica anche dopo una lunga riabilitazione. Decide così di
usare il treppiede. Una seconda emorragia lo coglie il 22 giugno 1968, costringendolo stavolta in sedia a rotelle. E
tuttavia nemmeno dopo questa ennesima sventura cessa di fotografare: continua il suo lavoro con l’aiuto degli
assistenti e spostando verso il basso il suo punto di vista. Ha una terza emorragia nel 1979, cui segue una lunga
degenza, fino al decesso avvenuto il 15 settembre 1990.

The pre-war period.
From photojournalism to propaganda photography
Domon began to work in photography in 1933 at the age of 24, carrying out the humble duties of an
apprentice at Miyauchi Kōtarō’s studio in Ueno. Right from the start he won prizes and began to write
for photography magazines and journals, publishing his first photo in Asahi Camera in August 1935.
The 10th of October of the same year marked an important turning point in his career. He replied to an
advertisement published by the Nippon Kōbō studio in Ginza, which was looking for a photo
technician. Founded by Natori Yōnosuke (1910-1962) when he returned from his experience in Berlin
at the Berliner Illustrierte Zeitung, the studio spread in Japan for the first time concepts such as editing
and reporting and a new system of production based on the collaboration between photographer and
graphic designer under the supervision of an art director, which led to the large-scale diffusion of
photojournalism.
Domon began his first reportage for the magazine Nippon, published in English in order to promote
Japanese culture abroad with a mix of information and propaganda. The first photographic reportage
was on the traditional Shichigosan Festival on the occasion of the presentation of children in the Meiji
Jingu shrine, realised with his model C Leica. This was followed by services that presented handicrafts,
traditions, industrial and military progress and the progressive aspects of Japan, which in the 1930s
had become increasingly nationalistic.
The war years and the bunraku puppet theatre
During the years of maximum Japanese expansion in the Pacific, immediately prior to the Second
World War, even photography had to comply with the strict rules of military policy. Only few selected
professional photographers could obtain photographic materials for assignments deemed to be
“essential”, and naturally the “essential” photographic services were subject to the requirements of
government propaganda, the Ministry of Foreign Affairs, the International Tourism Agency and the
International Cultural Relations Company.
Thus many photographic publications were discontinued, with economic repercussions for
photographers. In fact, Domon had difficulty maintaining a family of seven. He also had the added
anxiety of the probable arrival of a “red card” that would have called him to arms and probably to the
front in a group of photo-reporters. In response to this critical situation, Domon decided to retire from
the public scene, dedicating himself to culture, in particular to Buddhist temples and the bunraku
puppet theatre.
On the 8th of December, 1941 he was in the backstage of the Yotsubashi Bunraku Theatre in Osaka
when he read the special edition of a newspaper announcing the declaration of war to the United
States. It was not easy to gain the respect and collaboration of the master puppeteers – national living
treasures such as Yoshida Bungorō, Yoshida Eiza and Kiritake Monjūrō – in the key moment of taking
the shot with a camera that did not go unnoticed due to its size and long exposure times. However, by
1943 he had shot about 7.000 negatives, which were collected in the book entitled Bunraku published
in 1972.
The postwar period.
The affirmation of realism in photography
The tragic events related to the Second World War and to the defeat of Japan, marked by the atrocities
of the atomic bomb, revealed the great deception of the war propaganda. Defeat led to the collapse of
the imperial myth and state Shintoism, which had been the basis of military ideology.
If on the one hand, by the end of the 1940s there had been considerable intellectual rebirth leading to
a rapid resumption of the diffusion of magazines, publications, exhibitions and artistic circles, on the
other hand there was no language that seemed suitable for expressing such a tragic reality.
There was a need to document a society undergoing profound change and in this sense Domon became
the promoter of realistic photography, becoming a landmark for amateur photographers. He embraced
the western trends that had taken over the city, but also the alleys and the poorest sectors of the
population.
The high point of the realist tendency was reached around 1953, thanks to the exhibition, Photography
Today: Japan and France, held in 1951 at the National Museum of Modern Art in Tokyo, provided the
opportunity to make comparisons with names such as Cartier Bresson, Brassai, Doisneau. Domon’s
last word on realism appeared in the magazine Photo Art in 1957 with an article that debated the two
fundamental concepts of photography: jijitsu, reality, and shinjitsu, truth.
Children and miners’ villages
Domon adored children. His first services for Nippon were focused on the Shichigosan Festival and
then on children fishing in Izu. But in 1952 he began to photographing children all over Japan,
capturing the vitality of the streets and of the poorer neighbourhoods in Tokyo, Ginza, Shinbashi,
Nagoya and Osaka and in particular in the Kōtō area where he lived. Probably due to the loss of his
second child in 1946 in an accident, Domon moved increasingly toward a realist if not a socialist
approach, which allowed him to deal with current themes in an indirect way through the innocent eyes
of children.
Several books were dedicated to this theme: The Children of Kōtō (Kōtō no kodomotachi), whose
publication was stopped by Domon himself, dissatisfied with his work in 1956; The Children of Chikuhō
(Chikuhō no kodomotachi), published in January 1960, and its continuation which followed in
November, The Father of Little Rumie is Dead (Rumie chan has otōsan ga shinda), which showed the
miserable conditions of children in the villages of the mining area on the island of Kyūshū, and in
particular the story of two orphan sisters, whose story moved Japan becoming a best seller. Lastly, the
collection Children (Kodomotachi), published in 1976 by master of graphics and friend, Yūsaku
Kamekura, and published by Nikkor Club, the amateur photographers’ association linked to Nikon and
Domon.
Hiroshima
Published in March 1958, the year prior to the first brain hemorrhage to strike Domon Ken, the Hiroshima
collection presents 180 photographs introduced by a short explanatory essay. The work, completed thirteen
years after the dropping of an atomic bomb on Hiroshima and then on Nagasaki, focused the attention of the
world once again on the still open but almost forgotten wounds of Hiroshima, with a strong social impact.
The importance of this event in the life of the photographer is also evidenced by Domon’s recording in his
notebook in the day and time of his arrival: July 23rd, 1957, 2:40 pm. From then until November he went there six
times, for thirty-six days, producing more than 7,800 negatives, of which Hiroshima is only the synthesis.
Domon realized that until then he had ignored and been afraid of what Hiroshima had actually meant. With his
35mm camera he revealed the places and people directly and indirectly affected by the atomic bomb, coldly
recording with tears in his eyes the material damage, physical injuries, scars, deformations, and the plastic
surgery and transplants undergone by the victims of the bomb, dedicating 14 pages at the beginning of the book
to the progress made in the field of plastic surgery, which became a real photographic dossier.
The public shock that followed the publication of the dossier made him the object of harsh criticism that,
however, failed to undermine his determination to represent reality. In an article published in the magazine
Shinchō in 1977 the Nobel Prize winner Ōe Kenzaburō defined Hiroshima as the first work of modern art that
dealt with the theme of the atomic bomb, talking about the living instead of the dead.
Portraits (Fūbō)
In 1953 the publication of the Portraits (Fūbō) collection of photographs, which came out in paperback the
following year, concluded fifteen years of work dedicated to the portrait that had begun with the first
photograph in May 1936 portraying the writer Takeda Rintarō, continuing during the war and until the year in
which the collection was published. Domon gathered in a single volume 83 portraits of friends and
acquaintances, personalities from the world of entertainment, literature, theatre and politics, stressing in the
introduction that they were «[…]people I respect and like and am close to […] The choice of people was
surprisingly subjective and random and no claim to any strictly historical or cultural meaning can be made».
It seems that the initial choice of the faces to be included in the collection was made by Domon with a list written
in ink on a sliding door on the second floor of his house in 1948. This list was subjected to the comments and
opinions of friends and publishers who went to his house and subsequently underwent substitutions and
changes.
Through familiar faces and less well-known personalities, Domon bears witness to a crucial era in Japan, one of
great writers such as Mishima, Kawabata and Tanizaki, of actors and directors of the caliber of Mifune and Ozu,
of great artists who were often his friends and gave rise to a new important artistic trends in the country, such as
the sculptor Noguchi, the graph artist Kamekura, the founder of the Ikebana School, Sōgetsu Teshigahara, or
painters like Fujita, Umehara, Okamoto,
Each picture is accompanied by the name of the subject, their occupation and the date it was taken. There are
also short texts describing the relationship between Domon and the person depicted, in addition to the
atmosphere created during the shooting.
Sometimes subjects were exasperated by the professional stubbornness of Domon, as is clear in the portrait of
Umehara that reveals an air of irritation close to intolerance. Outrightness and instantaneousness, which were
always Domon’s objectives, became easier to achieve thanks to technological developments. He passed from a
camera assembled for cabinet card portraits – with a dry plate and flash that worked with magnesium powder,
used before the war – to a small Leica in the post-war period.
Pilgrimage to the ancient temples (Kojijunrei)
Murōji
The Murōji temple, small and immersed in the greenery of the Nara mountains, was for Domon the first stage of a
“pilgrimage to the ancient temples”, a sort of journey of the soul that accompanied him throughout his life and
from which came the encyclopaedic work Kojijunrei (Pilgrimage to the Ancient Temples).
It all began in 1939 with a simple excursion, suggested by friend and art historian Mizusawa Sumio (1905-1975):
an experience that changed his life. In the first year alone he returned more than forty times and on many more
occasions over the course of the following years.
At first Domon focused his photographic work on buildings, from the five-story pagoda – the smallest in Japan –
to the architectural details, focusing on the sculptures inside, but also on the imposing profile of the Miroku
Buddha of Ōnodera, excavated on the rocky wall facing the river along the road that leads to Murōji. Later he
concentrated on wooden statues (kōninbutsu) of the Heian era (794-1185) inside the temple and starting with
wide, overall shots he then moved on to capture the most minute details of the wood, so as to emphasize the
folds and hems of the vestments and the gestures of the hands and eyes. His favourite statue was of Buddha
Shaka, enthroned Mirokudō, who with his “beautiful and compassionate face” was, he claimed, the “most
beautiful man on earth.”
For this particular job he used a basic Konishiroku (now Konika) camera made of wood, especially suitable for
cabinet card portraits that he had purchased in 1941, but also an Eyemo with a tripod, often carried by his
assistants.
Evidence of Domon’s numerous pilgrimages and countless photographs can be found in the 1954 Murōji
collection. The expanded, definitive edition of this work, Nyonin Takano Murōji, was published in 1978 and
includes photographs taken subsequently with the new post-war techniques.
Pilgrimage to the ancient temples (Kojijunrei)
Around the temples
The thousands of shots that Domon took in 39 temples from 1939 to the seventies made up the Pilgrimage to the
Ancient Temples (Kojijunrei), the masterpiece of his career for which, even today, he is known worldwide. It
consists of five volumes published over a number of years (the first in 1963, the second in 1965, the third in
1968, the fourth in 1971 and the fifth in 1975) which put together 462 colour pictures and 325 photogravures of
temples and statues built between the seventh and the sixteenth century, following a subjective criterion and not
expecting such large proportions. It is first and foremost a work that documents the beauty of architecture,
sculpture, gardens and landscapes around the temples and shrines selected by Domon. And yet it is also a
testimony of the progression of photographic technique in those years, such as the transition to colour film of
1958, and of Domon’s health problems that influenced his choices. In December 1959 he suffered a brain
haemorrhage that paralysed the right part of his body, thus making it impossible to hold the camera, even after a
long period of rehabilitation. Therefore, he resolved to use a tripod. He suffered a second haemorrhage on the
June 22nd, 1968, which this time confined him to a wheelchair. And even with this umpteenth misfortune he did
not stop taking photographs. With the help of assistants and by moving his point of view further down, he
continued to work. He had a third haemorrhage in 1979, followed by a long stay in hospital and his death on the
September 15th, 1990.

BIOGRAFIA DOMON KEN
25 ottobre1909
Domon Ken nasce a Sakata, nella prefettura di Yamagata da madre infermiera e padre impiegato.
1916
All’età di sette anni Domon si trasferisce con la famiglia a Tokyo e due anni dopo a Yokohama.
1926
A 17 anni espone per la prima volta un dipinto a olio, venduto per 30 yen, all’Esposizione Annuale d’Arte di
Yokohama.
1928
Nonostante le difficoltà economiche della famiglia, Domon riesce a diplomarsi e poi frequenta i corsi serali della
facoltà di giurisprudenza della Nihon University, studiando nel tempo libero shamisen e pittura.
1932
È ancora studente quando viene arrestato perché impiegato come segretario presso la Lega Contadina (Nōmin
Kumiai).
1933
Su suggerimento della madre entra come apprendista nello studio fotografico di Miyauchi Kōtarō a Ueno. Legge
oltre 500 libri e riviste sulla fotografia e partecipa al concorso fotografico indetto dalla Konishiroku (oggi Konika
Corporation) con una foto di paesaggio a infrarossi, aggiudicandosi il secondo posto.
1935
Ad agosto pubblica la sua prima fotografia sulla rivista “Asahi Camera”. Poco dopo risponde a un annuncio per
tecnico fotografo e inizia a lavorare presso il Nippon Kōbō, fondato e diretto da Natori Yōnosuke (1910-62). Il 5
novembre, con una Leica modello C, realizza il primo reportage fotografico al Festival Shichigosan presso il Meiji
jingu a Tokyo.
1936
La foto “Bambini che giocano”, scattata da Domon durante un viaggio a Izu, ma attribuita al fotografo Natori
Yōnosuke, viene venduta a una rivista americana, creando così una rottura definitiva nel rapporto già conflittuale
tra i due fotografi.
1938
Le foto di Domon iniziano a essere pubblicate in Giappone su numerose riviste. Su “Life” appare un servizio
fotografico sul Ministro degli Affari Esteri, il Generale Ugaki Kazushige (1868-1956) nella sua residenza di Tokyo.
Questo scoop mette Domon in competizione con un altro rivale storico, Kimura Ihee, tra i fondatori del Nippon
Kōbō. Insieme ad altri fotografi dà vita all’“Associazione giovani per lo studio della fotografia giornalistica”
(Seinen hōdō shashin kenkyūkai).
1939
Entra come fotografo a servizio dell’Agenzia per le Relazioni Culturali Internazionali (Kokusai Bunka Shinkōkai,
KBS) del Ministero per gli Affari Esteri e realizza fotografie di promozione culturale e propaganda. Visita per la
prima volta il tempio del Murōji a Nara e inizia il suo lavoro fotografico sui templi buddhisti. Nello stesso anno
sposa Nakamura Tami, da cui avrà quattro figli, tre femmine e un maschio.
1940
Inizia il progetto sul teatro Bunraku, fotografando il maestro Yoshida Bungōrō (1869-1962), riconosciuto “tesoro
nazionale vivente” nel 1955. La rivista “Chūōkōron” pubblica alcune immagini di questo lavoro che continuerà
fino al 1943 con la realizzazione di circa 7.000 negativi.
1943
Partecipa ad una importante tavola rotonda sul tema “Etnofotografia e fotografia” con l’illustre etnografo
Yanagita Kunio (1875 - 1962) dove apprende il concetto di istantanea. Sull’edizione di settembre di “Nihon
Hyōron” Domon si esprime contro l’uso delle riviste a servizio della propaganda governativa. L’articolo finisce
con la messa al bando della pubblicazione e la fine dell’impiego di Domon presso il KBS. Riceve il 1° Premio di
Cultura Fotografica dalla rivista “Camera”.
1945
Nell’ultimo periodo della Seconda Guerra Mondiale, Domon riceve l’ordine di coscrizione dall’esercito della sua
provincia (Yamagata), ma viene riformato durante le visite mediche. Finita la guerra, per potersi mantenere
comincia a lavorare come fotografo freelance collaborando con vari periodici. Promuove il realismo sociale, in
opposizione alla propaganda del governo.
1947
Muore la secondogenita a seguito di un incidente.
1952
Diventa giudice del concorso mensile di “Camera” con Kimura Ihee.
1953 - 1954
Pubblica le raccolte “Ritratti” (Fūbō) e “Murōji”.
1955
Tiene la sua prima mostra personale “I bambini di Kōtō” presso la galleria dei Grandi Magazzini Takashimaya di
Nihonbashi a Tokyo. Riceve il premio Mainichi Shuppan Bunka e un premio dalla Società Fotografica del
Giappone per la sua raccolta “Murōji”.
1957
Il 23 luglio Domon si reca per la prima volta a Hiroshima. Questi scatti vengono pubblicati sul mensile “Fujin
Gahō”.
1958
Pubblica la raccolta “Hiroshima” con cui si aggiudica il premio “Mainichi Shashin” e il premio dell’Associazione
Critici di Fotografia del Giappone (Nihon Shashin Hihyōka Kyōkai).
1959
A dicembre al ritorno da Chikuhō verso Tokyo è colpito dalla prima emorragia cerebrale.
1960
In gennaio pubblica la raccolta “I bambini di Chikuhō” (Chikuhō no kodomotachi) con cui vince in marzo il premio
dell’Associazione Fotogiornalisti Giapponese e il premio annuale dell’Associazione Fotografica del Giappone. In
novembre pubblica anche la continuazione “I bambini di Chikuhō. Il padre della piccola Rumie è morto” (Chikuhō
no kodomotachi. Rumie chan no otōsan ga shinda), che diventa un bestseller. In febbraio viene ricoverato per
infarto. Passa alla macchina fotografica di grande formato con treppiedi.
1963
In luglio pubblica il primo dei cinque volumi “Pellegrinaggio ai templi antichi”(Kojijunrei) di cui l’ultimo sarà
pubblicato nel 1975. Dal 1 dicembre inizia la collaborazione mensile con lo “Yomiuri Shimbun” che si concluderà
nel 1965.
1968
In maggio torna a Hiroshima dopo 10 anni. In giugno tiene la mostra personale “Giorni di odio e disperazione –
Hiroshima continua” al Ginza Nikon Salon di Tokyo. Il 22 giugno ha una seconda emorragia cerebrale mentre è al
lavoro nella prefettura di Yamaguchi.
1969
Costretto ormai sulla sedia a rotelle, si dedica alla sua grande passione, la pittura, come esercizio riabilitativo.
Firma i suoi dipinti come “Domodigliani”, l’artista che più di tutti lo aveva ispirato.
1972
La raccolta “Hiroshima” entra nella collezione permanente del Museo d’Arte Moderna di New York (MoMA). In
settembre tiene la mostra “Pellegrinaggio ai templi antichi” presso i Grandi Magazzini Ōdakyū di Shinjuku a
Tokyo, a cui seguiranno altre undici esposizioni in diverse sedi. In dicembre pubblica la raccolta “Bunraku” a
trent’anni dalla realizzazione degli scatti. Viene nominato membro onorario dell’Associazione Fotografi
Giapponesi.
1973
A luglio tiene la mostra fotografica “Bunraku” ai Grandi Magazzini Wakō di Ginza a Tokyo. A novembre riceve
l’onorificenza imperiale “Medaglia con cordone murasaki”. Pubblica la versione economica di “Bunraku” e il
volume “Del vivere e del morire” (Shinu koto to ikiru koto).
1974
A gennaio è nominato primo Cittadino Onorario della sua città natale, Sakata, nella prefettura di Yamagata.
1976
Da novembre ricomincia a fotografare a colori il tempio del Murōji utilizzando per la prima volta lo strobo.
Pubblica la raccolta “Bambini” (Kodomotachi) con layout di Kamekura Yūsaku, “Paesaggi” (Fūkei), e il volume
“Tecnica fotografica” (Shashin sahō).
1978
Uscito dall’ospedale di Nara, in marzo decide di fotografare il Murōji innevato. Pubblica “Living Hiroshima”
(Ikiteiru Hiroshima).
1979
L’11 settembre è colpito da una terza emorragia cerebrale che lo lascia incosciente fino alla morte.
1980
Gli viene riconosciuto il “IV Ordine di Merito con il Cordone Minore del Sole Levante”.
1981
Il periodico “Mainichi Shimbun” istituisce il Premio Domon Ken.
1983
Viene pubblicata la “Raccolta completa di Domon Ken” (Domon Ken zenshū) in 13 volumi. Il primo ottobre viene
inaugurato a Sakata il “Domon Ken Kinenkan”, il primo museo dedicato a un fotografo. Il Museo, realizzato dal
celebre architetto Yōshio Taniguchi, ospita oggi oltre 70.000 scatti di Domon Ken.
15 settembre 1990
Domon muore all’ospedale di Toranomon a Tokyo all’età di ottant’anni.



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