saggio sulla storia

La forza dei conservatori? Trarre il meglio da tutte le idee

Dal concetto di nazione a quelli di rappresentanza e di pragmatismo. Ecco i loro più grandi esponenti


Un grande sociologo e studioso di scienza politica del secolo scorso, Roberto Michels, il cui nome è strettamente legato alla cosiddetta «teoria delle élites», pubblicò, verso la metà degli anni Trenta, un bel saggio, oggi quasi dimenticato, dedicato al concetto del «conservare in politica». Vi sosteneva la tesi che il conservatorismo, a differenza di quanto si potrebbe pensare, fosse una teoria (e, al tempo stesso, una pratica politica), per così dire, «in movimento».
Per lui, cresciuto alla scuola di Max Weber e di Vilfredo Pareto, esisteva «una profonda nota conservatrice nella storia del genere umano» dovuta alla «rapida trasformazione di idee rivoluzionarie in idee conservatrici, non appena abbia loro arriso il successo». In altre parole, Michels poneva il problema, nel suo saggio, del rapporto fra conservatorismo politico e movimenti rivoluzionari. Non solo. Affrontava anche, con finezza, la relazione fra «conservatorismo» e «reazione»: il primo, infatti, sostenitore e continuatore dello status quo, si risolverebbe, a suo parere, in una posizione reazionaria quando viene meno la coincidenza fra status quo e status quo ante.
Proprio la correlazione e le differenze e/o le affinità esistenti fra pensiero rivoluzionario, pensiero conservatore, pensiero reazionario e anche, per certi versi, pensiero liberale costituiscono un significativo e importante nodo teorico di riferimento e di riflessione critica per gli autori di un`opera enciclopedica - l`unica, finora, nel suo genere - dedicata al conservatorismo politico e culturale. Il volume, intitolato Le dictionnaire du conservatisme (Les Éditions Du Cerf, pagg. 1072, euro 30) e diretto da Frédéric Rouvillois, Olivier Dard e Christophe Boutin, raccoglie, in un`ottica interdisciplinare, contributi di un centinaio di studiosi ed è destinato a restare un punto fermo nella letteratura sul conservatorismo. Un capitolo del pensiero politico, questo, e della sua storia, che sta attraversando, dappertutto, un momento di rinnovata fortuna come ben dimostra, per esempio, il successo dei saggi di Roger Scruton, a cominciare da quel suggestivo Manifesto dei conservatori (Cortina Editore), apparso una decina di anni or sono, che riprendeva, peraltro, il titolo di un aureo e fortunatissimo pamphlet scritto da Giuseppe Prezzolini all`inizio degli anni Settanta e riproposto recentemente dalle Edizioni di Storia e Letteratura.
Il termine «conservatore» venne introdotto, di fatto, nel lessico politico all`indomani della stagione napoleonica per iniziativa del grande scrittore e diplomatico francese François-René de Chateaubriand, che fu l`animatore e la firma più prestigiosa del giornale realista Le Conservateur (1818-1820) sulle cui pagine veniva sviluppata una severa critica al giacobinismo e venivano difese le ragioni della Restaurazione. In una lettera-programmatica per il primo numero della rivista egli richiamava la necessità di «opporre una diga al torrente» rappresentato proprio dai principî di quel giacobinismo che «da un trentennio ormai stava facendo tanto male alla Francia».
In verità, all`affascinante e raffinato autore delle splendide Memorie d`oltretomba l`etichetta di conservatore va piuttosto stretta, almeno a porgere orecchio alle sue stesse parole: «Sono come l`ultimo testimone dei costumi feudali. Gentiluomo e scrittore, sono stato borbonico per onore, monarchico per ragione, repubblicano per gusto». Il grande, grandissimo Chateaubriand, polemista più che dottrinario, fu certamente un conservatore di fronte alla deriva rivoluzionaria, ma non un vero teorico del pensiero conservatore, quanto meno perché in lui certe pulsioni nostalgiche, quasi reazionarie, nei confronti di una società aristocratica in via di estinzione si risolvevano, in un difficile tentativo di conciliare l`inconciliabile, in talune suggestioni liberali e democratiche che lo spinsero a scrivere: «Vorrei che tutti i gentiluomini diventassero cittadini e tutti i cittadini gentiluomini». Cionondimeno, il nome di Chateaubriand non può non figurare in un dizionario del conservatorismo: e, giustamente, esso ricorre più volte nei lemmi del volume diretto da Rouvillois, Dard e Boutin.
Nel bel saggio introduttivo all`opera, i tre curatori fanno notare che in Francia la costruzione dottrinale del conservatorismo è in qualche modo legata alla Rivoluzione Francese e alla sua eredità anche se, poi, proprio il peso di una tale eredità (in particolare il ricordo della deriva della stagione rivoluzionaria del Terrore del 1793 e dintorni) finì per determinare contaminazioni, ambiguità ovvero incertezze ideologiche che sarebbero stati all`origine di filoni speculativi e di movimenti politici diversi pur se appartenenti, da un punto di vista genetico, a un medesimo schieramento. La verità è che taluni concetti, a cominciare da quello di nazionalismo, nati all`ombra della rivoluzione, sarebbero «slittati» con l`andar del tempo e sarebbero diventati patrimonio della destra politica. Un grande storico, Réne Rémond, ha descritto in maniera mirabile la fenomenologia di questa trasformazione di concetti politici, in origine di sinistra, in capisaldi teorici della destra. O, per dire meglio, delle varie, e spesso conflittuali, destre francesi. Egli individuò tre destre, tutte emerse nel periodo immediatamente successivo alla Rivoluzione - il legittimismo e il tradizionalismo degli ultrà, il bonapartismo della tradizione napoleonica, l`orleanismo della monarchia borghese - cui le posteriori formazioni politiche di destra, spesso in posizioni fra loro conflittuali, si sono in qualche misura rifatte attraverso accorpamenti dei filoni tradizionali o loro rielaborazioni: dalla Action Française, come tentativo di «sintesi» delle tre destre di riferimento, fino al gollismo e al neo-gollismo, come recuperi modernizzati della tradizione plebiscitaria di derivazione bonapartista. Per quanto riguarda la posizione del conservatorismo in questo continuum storico c`è una battuta del celebre scrittore americano Mark Twain che è, in proposito, pur nella sua apparente paradossalità, illuminante: «Il radicale inventa le opinioni; quando lui le ha consumate il conservatore le adotta».
La Francia è stata, senza alcun dubbio, il laboratorio del pensiero politico contemporaneo a partire dallo spartiacque rappresentato dalla Rivoluzione Francese. Lo è stata anche nel determinare la nascita del pensiero conservatore, al di fuori dei suoi confini, in Gran Bretagna, dove Edmund Burke, proprio nel celeberrimo saggio Riflessioni sulla Rivoluzione Francese, gettò le basi non tanto della letteratura controrivoluzionaria, quanto del conservatorismo politico. Lì egli - al di là delle critiche mosse, in nome del realismo politico, alle pulsioni utopistiche, astratte e dottrinarie della Rivoluzione - indicò i capisaldi di un sistema politico basato sulla rappresentanza, sul bilanciamento dei poteri, sull`istituto della proprietà privata, sulla libera iniziativa.
Naturalmente il conservatorismo, nella storia, trovò declinazioni diverse, sia dal punto di vista speculativo sia dal punto di vista delle politiche attuate, nei diversi contesti nazionali e in rapporto alla loro evoluzione storica. In Francia si passa, per esempio e per indicare posizioni tra loro tutt`altro che convergenti, dal reazionarismo teocratico di Joseph de Maistre al nazionalismo integrale di Charles Maurras, dal legittimismo nostalgico e borghese di Honoré de Balzac fino al liberal-conservatorismo di Raymond Aron. In Germania, si va dal conservatorismo pragmatico di Otto von Bismarck fino a quella straordinaria fioritura speculativa della cosiddetta «Rivoluzione conservatrice» (per usare la pregnante espressione utilizzata da Armin Mohler nel titolo di un suo celebre saggio) che annovera, tra gli altri, Moeller van den Bruck, Ernst von Salomon, Ernst Jünger. E non sono assenti dall`orizzonte del conservatorismo tedesco pensatori come Osvald Spengler, il cui Tramonto dell`Occidente (di recente riproposto in Italia in una nuova edizione critica da Aragno) segnò una tappa fondamentale, inaugurando il filone della cosiddetta «letteratura della crisi», o come Thomas Mann, il Mann delle Considerazioni di un impolitico (riesumate una ventina di anni or sono da Adelphi e riportate a nuova vita) che suggerisce una imprevedibile presenza dell`ironia nello spirito del conservatorismo.
Nei Paesi dell`area anglosassone, Gran Bretagna e Stati Uniti, il conservatorismo si declina, in gran parte, all`insegna di un pragmatismo di fondo che trova una incarnazione politica in figure di statisti come Winston Churchill, Margaret Thatcher e Ronald Reagan. Il capolavoro di Russell Kirk sulla storia e sull`evoluzione del pensiero conservatore, The Conservative Mind, e i testi di Robert Nisbet, peraltro, pur sottolineandone una dimensione pragmatica e anti-utopistica, presentano il conservatorismo come una delle grandi ideologie espresse dalla modernità e a essa funzionali.
Il Dictionnaire du conservatisme si articola in voci biografiche e in voci tematiche, le quali tutte, nel loro insieme, contribuiscono a mettere in luce le sfaccettature di un filone di pensiero assai articolato e talora, comprensibilmente, in rapporto di contiguità o di affinità dialettica con altre linee speculative. L`esempio tipico di tale contiguità, più volte segnalato in più punti dell`opera, è quello rappresentato dall`incontro - come ha sottolineato il grande economista Friedrich von Hayek nel suo bellissimo lavoro su La società libera introdotto in Italia nel 1969 dall`indimenticabile Sergio Ricossa e riproposto da Rubbettino in anni più recenti - tra «i difensori della libertà e i veri conservatori» in nome della lotta contro «l`abuso della ragione» e contro il progressismo.
Essendo stato, peraltro, concepito e realizzato in Francia, il Dictionnaire du conservatisme non può offrire un quadro di «tutti i conservatori del mondo» e approfondisce, secondo le sensibilità e gli interessi degli autori dei lemmi, temi e protagonisti del conservatorismo di alcune aree. Manca, per esempio, quasi del tutto ogni riferimento all`Italia dove, pure, non è mancata una tradizione di pensiero conservatore. Basti pensare, a titolo puramente esemplificativo, a Gaetano Mosca e a Vilfredo Pareto, da Leo Longanesi che si autodefiniva «conservatore in un paese dove non c`è nulla da conservare» a Giovanni Ansaldo che rintracciava i tratti del conservatore nei comportamenti del «vero signore», dall`«anarco-conservatore» Indro Montanelli al «conservatore-liberale» Sergio Romano e via dicendo. Tuttavia, quel che conta davvero, al di là di possibili critiche su inclusioni ed esclusioni, è il fatto che, nel complesso, il Dictionnaire du conservatisme riempia davvero un vuoto editoriale. E possa rappresentare un esempio e uno stimolo per iniziative analoghe.

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